Storia e origini del Primitivo di Manduria
È dal 1974, anno in cui è stata riconosciuta la DOC Primitivo di Manduria, che il notoriamente errante vitigno Primitivo ha trovato dimora, ponendo le basi della sua affermazione come simbolo indiscusso della viticultura e dell’enologia della regione Puglia. In questo articolo, vi parliamo delle origini del Primitivo di Manduria, dei territori in cui viene raccolto, delle sue straordinarie caratteristiche, del vino che se ne ricava e anche del perché è così importante per Cantine San Marzano.
È molto difficile ripercorrere tutti i passi di questa varietà dalle origini ad oggi. In particolare, ora che siamo ormai abituati a considerare il Primitivo l’autoctono pugliese per eccellenza, sempre di più viene voglia di speculare su come e quando questa varietà sia effettivamente arrivata in questo stretto lembo di terra. La Puglia è infatti, geograficamente e storicamente, una regione aperta alle più varie influenze, a cavallo tra oriente e occidente, luogo di approdo per eccellenza ancor prima che il Mediterraneo fosse chiamato Mare Nostrum.
Etimologia del nome Primitivo
Cominciamo dal nome: Primitivo. Perché matura presto, prima. Ed è questa inequivocabile caratteristica che ha fatto sì che possiamo mettere il primo incontestabile segnaposto della presenza del Primitivo in Puglia, nel dettaglio a Gioia del Colle. Qui il canonico Francesco Filippo Indellicati, vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800, notò che nel suo vigneto, dove erano coltivate viti alla rinfusa, ce n’era una che aveva un ciclo vegetativo più breve, germogliava dopo e maturava prima delle altre. L’ecclesiastico isolò dunque questo vitigno, dando vita alla prima monocoltura di questa pianta che volle chiamare, appunto, Primaticcio, o Primativo, da cui, ovviamente, Primitivo.
Diffusione nel resto della Puglia
Non ci è voluto molto perché il Primitivo si diffondesse dalla costa adriatica (Gioia del Colle) a quella ionica (Manduria). A fine Ottocento, la contessa Sabini di Altamura andò in sposa al nobiluomo manduriano Tommaso Schiavoni Tafuri e portò in dono alcune barbatelle di questo vitigno, messo poi a dimora sulle dune costiere di Campomarino di Maruggio dal cugino dello sposo. Don Menotti Schiavoni vinificò e ottenne quella che è rimasta alla storia come la prima bottiglia di Primitivo, etichettata come “Primitivo di Campo Marino”, anno 1891.
Da lì in poi è storia abbastanza recente e documentata, il vitigno si diffonde nelle aree limitrofe diventando colonna portante della viticoltura della zona, fino ad arrivare alla creazione della denominazione d’origine Primitivo di Manduria DOC.
Rapporti e differenze tra Primitivo pugliese e Zinfandel californiano
Ciò che invece è accaduto prima che Don Indellicati si ritrovasse questo vitigno nel suo ormai storico vigneto sembra un’avvincente saga che ha aperto tanti scenari. Scenari che si cerca di ricostruire indicativamente a partire dagli anni settanta del secolo scorso e che non sono del tutto chiari ancora. L’innesco delle indagini per ricostruire la storia del Primitivo è stato, come quasi sempre, la casualità: a cena in un ristorante di Bari, un fitopatologo dell’Università di Davis (California) nota che il vino ordinato dal collega autoctono somiglia incredibilmente a un vino che conosce benissimo: lo Zinfandel californiano. Da lì la nascita di una motivata “task force” di matrice pugliese-americana: sguinzagliata prima per ovvie ragioni di competizione e di orgoglio nazionale, ovvero per venire a capo del dilemma su quale dei due vitigni, Primitivo o Zinfandel fosse nato prima, la task force si concentra poi nella ricerca dell’eventuale antenato misterioso.
E come sempre la storia diventa la chiave per leggere e capire l’enografia, soprattutto per un vitigno viaggiatore per eccellenza come il Primitivo.
La probabile origine balcanica del Primitivo
Senza voler ripercorrere tutti i passaggi, le ipotesi e le scoperte degli ultimi 50 anni (missione quasi impossibile anche perché le ricerche sono ancora in corso), ciò che si può considerare abbastanza suffragato da prove è che, con buona pace degli studiosi della prima ora, la paternità del vitigno non è né pugliese né californiana, bensì balcanica. Più precisamente, la varietà sarebbe nata tra Croazia e Montenegro, fino alla Prima Guerra Mondiale luoghi di contesa tra l’Impero Austro-Ungarico e quello Ottomano.
Sono state ritrovate, infatti, da Spalato al lago di Scutari (in Montenegro, al confine con l’Albania) diverse varietà con patrimonio genetico simile, da quella più vicina allo Zinfandel, a quella più vicina al Primitivo, tutte legate da vincoli di parentela.
Le ipotesi finora più accreditate vedono una tra le varietà localizzate originariamente nei pressi della Dalmazia partire nel 1820 dal vivaio del palazzo imperiale di Schönbrunn, a Vienna, e varcare l’Oceano Atlantico. Il vitigno si installò così in un vivaio della costa orientale statunitense, e poi successivamente partì alla conquista del west, in California.
Un’altra varietà invece, la Kratosija, antichissima e di origine montenegrina, si spostò tra il 1400 e il 1500 dalle coste albanesi per arrivare a Gioia del Colle via mare, probabilmente in mano a profughi cristiano-ortodossi greci e albanesi o slavi in fuga dall’Impero Ottomano. Da qui sembra aver preso anche il nome di Zagarese (da Zagabria), a indicare proprio l’origine slava, creando un po’ di confusione al fine della ricostruzione dei fatti.
Come dunque praticamente tutti i vitigni, il Primitivo si spostò, da Est a Ovest, adattandosi al terroir e andando ad arricchire il patrimonio ampelografico delle regioni di destinazione o, se vogliamo, col senno di poi, di elezione.
Bibliografia e sitografia: Primitivo di Puglia di Giuseppe Baldassarre (INPUT edizioni); Dal “Merum” al Primitivo di Manduria di Gianni Iacovelli, Bianca Tragni, Pietro Gargano (Filo Editore); La Stirpe del Vino di Attilio Scienza e Serena Imazio (Sperling & Kupfer); www.quattrocalici.it .