Mosaico di un patrimonio secolare

Nel dna delle nostre comunità, il vino, storico supporto dell’economia produttiva regionale e oggi baluardo dell’export pugliese nel mondo.
Clima afoso nei mesi estivi, mite per il resto dell’anno. Condizioni climatiche invidiabili  e naturali, spontanea vocazione alla produzione vitivinicola, tracciano il percorso di una tradizione risalente alle dominazioni elleniche e romane.

Il capostipite Primitivo

Anzitutto il Primitivo, vitigno a bacca rossa simbolo del patrimonio enologico pugliese grazie a produzioni come il Sessantanni Primitivo di Manduria DOP, icona della rinascita di una Denominazione oramai riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo.
Ogni vitigno ha una storia da raccontare, ma solo in pochi narrano vicende così antiche. Questa varietà inconfondibile affonda le sue radici addirittura nel commercio marittimo degli Illiri, popolo della regione balcanica dedito alla coltivazione della vite e dei Fenici, antichi frequentatori delle nostre coste pugliesi.
I grappoli, dalla forma allungata cilindro-conica, sono di dimensioni medie o medio-piccole. La buccia, estremamente ricca di antociani e pruina, si presenta di un blu scuro ma intenso.
La coltivazione del Primitivo per eccellenza è quella tradizionale ad alberello, tipica della cultura mediterranea e di derivazione greca.
Affascinante quanto antico metodo di allevamento che offre almeno tre vantaggi fondamentali: favorisce la maturazione dell’uva sfruttando il calore della terra, riduce la resa concentrando l’estratto di ogni grappolo, protegge la vite dall’insolazione grazie allo spesso fogliame.
Gli alberelli più vecchi, come quelli del Sessantanni, assumono forme arcaiche e bizzarre offrendo lo spettacolo ligneo di una scultura vivente.
Eppure, la bassa resa in termini di quantità e l’impossibilità di meccanizzare le operazioni di raccolta, necessariamente a mano grappolo per grappolo, ha in passato causato un progressivo quanto inesorabile abbandono di questa forma di allevamento, per fortuna conservato e oggi rivalutato da alcuni tenaci coltivatori.
Un vero e proprio patrimonio storico-culturale che è necessario tutelare.
E ancora, dalle medesime uve di Primitivo, le prime produzioni di rosato risalenti probabilmente al VII/VI Secolo a.C.
Furono i coloni greci ad insegnare ai contadini salentini come ottenere questi vini con il sistema “a lacrima”,  tecnica di produzione consistente in una delicata pigiatura di uve nere raccolte in sacchi. Con la “lagrima salentina” nasceva la prima, fortunata generazione di rosati pugliesi. Prima tappa di un percorso enologico che ci conduce fino al moderno Tramari Rosé di Primitivo Salento IGP, orgoglioso erede di una storia romanzesca.

Negroamaro: genealogia di un successo

Un altro vitigno che può vantare una geneaologia secolare è il Negroamaro. Un tempo relegato al ruolo di spalla in altri vini rossi, a causa del tannino spiccato e la sua inconfondibile nota acida, ormai da diversi anni valorizzato in purezza.
Carattere ruvido che San Marzano ha saputo domare rendendolo un vino attuale ed elegante. Un risultato frutto di un lungo lavoro in vigneto ed in cantina, che ha reso F Negroamaro Salento IGP vero e proprio marchio di qualità per questa varietà.
Vini possenti e corposi quelli da uve di Negroamaro. E numerose le testimonianze del loro apprezzamento nella storia, dalla occupazione del Salento da parte dei legionari romani fino alle prime esportazioni nel mondo, ai tempi della Compagnia delle Indie.
Scritto talvolta negro amaro, nero amaro, negramaro e nigramaro, deve il suo nome all’incontro di due parole, una latina e l’altra greca. Niger e Mavros, entrambe indicano il colore nero, caratteristico sia del vino che della buccia dell’acino. La ripetizione dell’aggettivo si ritiene fosse in origine un rafforzativo, simile a “nerissimo”, ed è un altro chiaro riferimento alle origini greco-romane di questa varietà tipicamente salentina. Un’altra interpretazione ne riconosce origine nell’espressione dialettale niuru-maru, riferito alle due caratteristiche tipiche del varietale: acino nero e piacevole gusto amarognolo, dato dal ricco tannino. Origini antiche per un vino di successo e sempre attuale.

Grandi rossi, ma non solo

A queste varietà simbolo nel panorama enologico pugliese, si affiancano diversi vitigni cosiddetti minori.
Varietà talvolta a rischio estinzione che anche a San Marzano si studiano, sperimentano e vinificano nella consapevolezza del ruolo di ambasciatori del grande patrimonio varietale regionale.
È questo il caso del Moscatello Selvatico, tra i vitigni autoctoni che ogni anno si contendono il completamento del blend di Edda Bianco Salento IGP, un grande bianco di Puglia divenuto simbolo del retaggio culturale barocco sempre vivo nei costumi locali. La varietà autoctona del Moscatello nasceva in passato spontanea ai bordi dei filari dei vigneti e veniva considerata un’uva marginale. Rimarchevole invece, il suo modo unico di conferire profumi autentici e intensi.
E ancora, la Verdeca, varietà a bacca bianca che a San Marzano si vinifica in purezza, offrendo al mercato un vino minerale e di apprezzabile struttura, il Talò Verdeca Puglia IGP.
La Malvasia Nera, i cui filari spesso si alternano ai più numerosi di Negroamaro per dare vita al classico Salice Salentino Dop. Oltre al Salice, a San Marzano si è scelto di vinificare la Malvasia Nera in purezza, una scelta audace ripagata da un risultato molto amato per le sue note di frutti rossi e spezie gentili.
Un lavoro di grande attenzione e dedizione anche quello svolto su un’altra, interessante esponente nella famiglia delle Malvasie: la Malvasia Bianca. Fra le 18 varietà iscritte nel Registro Nazionale Italiano, la Malvasia bianca è tipicamente identificata con il territorio pugliese.
In purezza o in assemblaggio con altre varietà, come lo Chardonnay o il Sauvignon, apporta ottima struttura, spiccata acidità e capacità di evolvere per diversi anni. Impiegata ne Il Pumo Malvasia Sauvignon Salento IGP, in un bilanciato blend con il Sauvignon, è compagno ideale della cucina di mare salentina.
Tra i bianchi tipici di Puglia, anche qualche varietà inaspettata. Vitigno a bacca bianca del Sud, il Fiano, un’uva tanto gradita dai romani… e dalle api! Attirate dalla dolcezza dei suoi acini, da qui secondo alcuni il suo antico nome: uva apiana.
Nonostante la provenienza avellinese, il vitigno è coltivato in Puglia almeno a partire dal periodo di dominazione angioina. Si ha notizia infatti che Carlo II d’Angiò fece spedire sedicimila viti di Fiano da Cava dei Tirreni alla sua tenuta di Manfredonia.
Utilizzato per la produzione di pregevoli bianchi come il Talò Fiano Salento IGP San Marzano.

Vermentino e Susumaniello:  due vitigni, due storie

Antiche tradizioni enologiche ed etimologie dei varietali non possono che portarci alle origini di un altro, magnifico vitigno a bacca bianca: il Vermentino. Vi è chi supporta le argomentazioni che lo vorrebbero originario della Spagna, chi sostiene dall’Anatolia. Ciò di cui siamo certi è che da quando fu introdotto in Puglia, presumibilmente a partire dal XIV secolo, il patrimonio enologico locale ha acquisito un nuovo attore di incommensurabile valore. Tra lo Ionio e la costa rocciosa del tarantino nasce Timo, Vermentino vinificato in purezza da San Marzano e affinato 5 mesi in acciaio. Fresco e profumato, raccoglie in sé tutte le suggestioni della Macchia Mediterranea.
Un territorio, quello pugliese, che San Marzano ha dimostrato di saper valorizzare con competenza e inventiva in una fusione di passione e secolari tradizioni. Questo è avvenuto anche con l’ultimo arrivato della famiglia: Susco Susumaniello Salento IGP.
Vitigno a bacca nera antico e salentino, il Susumaniello cela un ventaglio di pregi che gli hanno consentito una nuova stagione di successi. Sempre più i consumatori e gli appassionati che, affacciandosi per la prima volta a questa varietà tipicamente pugliese, vengono rapiti dal suo fascino.
Relegato per decenni ad un ruolo secondario nel panorama dei rossi pugliesi a causa della sua caratteristica abbondanza in gioventù, tanto da caricare il “somarello” (da qui il nome del vitigno), è stato a lungo considerato vino da massa, da tavola.
In età matura però la pianta riduce spontaneamente la resa, diventa più avara di frutto e produce vini dalla spiccata nota acida, riflessi rosso rubino vivaci e una tannicità che lo rende naturalmente predisposta all’invecchiamento. Un ventaglio di inaspettati pregi che l’hanno strappato al suo destino da vino da taglio e da tavola, dando luogo ad una rivalutazione enologica che in Susco raggiunge apice di profumi e qualità. In dialetto salentino susco siginifica schivo, dal temperamento scostante. Nome ad indicare quella ritrosia della pianta matura a produrre in abbondanza e utile per descrivere le difficoltà nell’approcciarla come fonte di materia prima.
Una lunga striscia di terra stretta tra due mari, la Puglia. Panorama di luoghi e vitigni che della storia di questa regione sono testimoni.
A San Marzano ogni vigneto ha scritto un capitolo del racconto che qui abbiamo provato ad anticipare. Popoli antichi, leggende e profumi del Mediterraneo, nel riflesso rubino di un grande rosso salentino o in quello cristallino di un bianco di Puglia.